Golden hour

Oggi pubblichiamo le delicate ma profonde parole di Raffaella Lazzarato, amica della nostra cara socia Patrizia, e da oggi anche amica di noi ViviAdrianini
Grazie, Raffaella, per questo tuo bellissimo e intenso racconto; scrivici ancora !
Buona lettura a tutti !
La chiamano “golden hour”. Pochi minuti dopo l’alba, pochi minuti prima del tramonto. Per me, è quel momento del giorno in cui la luce diventa morbida, come un plaid caldo che mi avvolge il corpo. Ogni domenica, quando il tempo è clemente, me ne resto seduta su una panchina del parco e questo faccio: mi lascio avvolgere. Non le sento le voci accanto a me che si rincorrono e si prendono, né lo stridere lontano dei cerchi di metallo che abbracciano i binari delle rotaie.
Non voglio sentire nulla. È il mio momento quello, solo mio, in cui mi ricarico prima di una nuova settimana. In attesa del mio momento.
Non voglio che me lo rubi nessuno. Ci ho messo così tanto a trovarlo e farlo mio.
Anni a rincorrere episodi vuoti su Netflix, a mordere libri affamata, a guardare il soffitto annoiata.
E poi, una domenica pomeriggio, poco prima del tramonto, rientrando a casa ho sollevato lo sguardo. Mi sono sentita un po’ San Paolo sulla via di Damasco. Almeno, credo lui si sia sentito così. Non lo so perché ho scomodato San Paolo, adesso. Ma insomma, avete capito no?
- Annina?
È lontana, non la sento.
- Annina, sei tu?
È più vicina, ma non la sento.
- Ma dai, Annina. Da quanto tempo.
È troppo vicina, devo sentirla per forza.
Non mi chiamano Annina dalla quinta liceo. Mi sono lasciata indietro quel nomignolo assieme ai corridoi che odoravano di brodo di carne anche alle 8 del mattino.
Sollevo lo sguardo verso la voce che mi ha chiamata e vedo una donna minuta stretta in un cappottino rosso, occhiali da vista modello retrò e permanente fatta da non più di due giorni.
- Signora Cardelli - la mamma di Alessia, una delle mie compagne di classe. Anche lei me l’ero lasciata indietro dalla quinta liceo.
- Non sei cambiata per niente, Annina - si accomoda accanto a me, sulla mia panchina.
- Vale lo stesso per lei - ricambio la cordialità e mi chiedo perché proprio oggi, proprio qui. Ma perché?
- Non ti sei più fatta vedere dalla maturità. Qualche volta ho incrociato i tuoi genitori, ma poi non ho più visto nemmeno loro - continua.
- I miei si sono trasferiti qualche anno dopo e poi anche io ho cambiato casa.
- Ah, ti sei sposata?
Certo, perché una, per andare via da casa dei suoi, deve per forza essersi sposata.
- No, ho solo lasciato il nido.
- Ah, e dove hai comprato?
Giusto, perché una, per andare via da casa dei suoi, deve per forza essersi sposata o aver comprato casa.
- In realtà, sono in affitto. Qui vicino, tra l’altro. Condivido casa con degli amici.
- Ah... - e mi guarda. E in quell’espressione c’è tutto il disappunto di una intera generazione che ha fatto del matrimonio e del comprare casa le proprie fondamenta granitiche.
- Beh, ma sei fidanzata, sì?
La guardo io adesso.
Ora, io dico: non ti vedo da 15 anni, di te ho un vago ricordo di quando in coda con tua figlia aspettavi di andare a colloquio dai professori, tua figlia e io non siamo mai nemmeno state amiche, ma come ti permetti? Questo vorrei dirle. Invece rispondo solo:
- No, signora Cardelli. Non sono nemmeno fidanzata - e torno a guardare davanti a me.
- Ah... - e guarda davanti a sé anche lei, le mani posate sulle ginocchia. - Invece Alessia si è fidanzata - annuisce a se stessa compiaciuta. -Te lo ricordi Eugenio?
E come dimenticare Eugenio? Mister Perfetti, lo chiamavamo. Sempre preparato, sempre gentile, sempre educato, sempre perfetto.
- Si sono rincontrati qualche tempo fa a lavoro, sono entrambi avvocati. Hanno seguito una pratica insieme per i loro studi e si sono scoperti innamorati - unisce le mani e le batte, impercettibilmente. - Siamo così contenti che finalmente si sia sistemata: Eugenio è così un bravo ragazzo e conoscevamo già la sua famiglia. È stata una benedizione guarda!
Osservo quella madre sollevata dall’aver “finalmente sistemato” la propria figlia. E chi sono io per distruggere i suoi sogni di gloria? Per dirle che, forse, sua figlia era sistemata anche prima se era soddisfatta del suo lavoro e della sua vita, e magari anche completa. E non aveva bisogno proprio di nessuno per sistemarsi. Che però, magari, è stata fortunata a innamorarsi di qualcuno che conosceva già. O, forse, non si è nemmeno innamorata ed è finita risucchiata da quelle fondamenta granitiche che sua madre le ha riversato addosso.
- Sono contenta per loro - è quello che la mia voce dice, e mi alzo. - È stato un piacere, signora Cardelli, ma ora devo andare. Sa, i miei coinquilini senza me sono persi! - sorrido. - Mi saluti Alessia e Eugenio.
Ricambia il saluto. Io mi allontano e me la lascio alle spalle.
La “golden hour” ormai è un ricordo: il sole è già tramontato e, con lui, anche il mio momento perfetto.
Salgo le scale e apro la porta. Silvia mi sorride.
- Oh, sei arrivata finalmente. Dai che ordiniamo la pizza, ma dì qualcosa a Federico, vuole provare quella con l’ananas.
Scoppio a ridere.
No, forse mi sbagliavo: la mia “golden hour” non è ancora finita e nemmeno il mio momento perfetto