I miei pensieri sul Coronavirus

Scritto dalla studentessa Marta Ieroianni (classe 2B della Scuola Secondaria di Primo Grado Trevisani-Scaetta)

Trovarsi insieme è un inizio
Restare insieme è un progresso
Lavorare insieme è un successo

Ho immaginato quanto sarebbe bello abitare con tutti i miei amici nella stessa casa condividendo tempo, cibo, giochi, foto e video… ormai le mie giornate sono sempre e tutte così, compresi compiti e violino.
Può sembrare che io sia abbattuta, certo qualche momento di sconforto ce l’ho, a volte mi verrebbe solo da mettermi a letto, nascondermi sotto le coperte, avvolta dal lenzuolo, come una piccola farfalla dentro al suo bozzolo e sperare che questo periodo sia solo un brutto sogno, ma so che non posso mollare, devo andare avanti e superare le mie paure.
Mi sono resa conto, e ce ne ho messo di tempo, di come l’apatia sia la più brutta delle malattie. Ti fa accettare tutto, anche di non essere felice. E noi ragazzi potremmo mai permettere a qualcuno, all’apatia o a qualsiasi mostro con la corona, di rubare la nostra felicità?

Eccoci qui. Ci siamo trovati insieme, miracolo della didattica a distanza; finalmente ci vediamo in faccia, dopo tanti giorni. Ho temuto di dimenticare i miei compagni, perciò ogni giorno mi sono imposta di sforzarmi di ricordare un particolare per ognuno, come la forma del viso, il colore degli occhi, il taglio dei capelli, persino la voce, anche se ogni giorno era sempre più difficile; d’altronde li conosco da un anno e mezzo, più o meno, mica da tutta la vita. Poi ho deciso di appendere la foto di classe della prima media su una parete della mia camera, così è stato tutto più semplice; eppure, appena li ho rivisti il mio cuore è scoppiato dalla gioia, non mi sono sembrati mai così belli. E sentire le loro voci, e anche quelle dei professori, è stato come l’acqua fresca del mare in un giorno afoso d’estate, come tornare nel tepore della mia casa, dopo aver passato alcune ore al freddo in inverno.
E ho riflettuto che sì, #iorestoacasa e #andràtuttobene saranno pure gli hashtag del momento, tuttavia per me, #distantimauniti dovrebbe essere il filo che ci indica il percorso da seguire per andare avanti e sviluppare il nostro io e far sviluppare la comunità in cui viviamo.

Così ogni videolezione diventa un momento di scambio che va oltre la didattica in sé; ogni appuntamento su meet diventa un ritrovarsi tutti, distanti ma uniti, per raccontare del lavoro, ascoltare le spiegazioni, ma anche fare le nostre solite battutine, uscire dalla riunione e poi mandare un messaggio ai compagni per dire al prof di turno di riammetterci, perdendo un po’ di tempo, insomma fare proprio come se fossimo in classe, anche se ognuno di noi si trova nella propria casa.

E certo, non è la stessa cosa, ma stiamo andando avanti, protetti dall’avanzare di questo mostro, grazie alle pareti della nostra abitazione e al lockdown che ci impedisce di uscire; la nostra piccolissima comunità, chiamata 2B, in un certo senso sta progredendo lezione dopo lezione, incontro dopo incontro, e io non vedo l’ora che arrivi il successivo appuntamento per rivedere tutti.

Ma ancora non basta. Ancora dobbiamo sforzarci, io per prima, di collaborare di più, anche al di fuori delle videolezioni, per fare in modo che questo progresso diventi anche il nostro successo di vita, la nostra crescita personale e l’evoluzione completa della nostra piccola comunità, come la farfalla che si fa strada, spalancando le ali, pronta a volare nell’immensità del mondo.

Un enorme esempio di questa collaborazione lo abbiamo visto in tutti coloro che in questo periodo si sono dati da fare per gli ospedali, addirittura costruendoli, e negli ospedali, perché sono medici, infermieri, assistenti, che fanno turni estenuanti, tutti coperti dalle tute, per tante ore, senza poter mangiare, bere o andare in bagno.
Non si sono abbattuti neanche quando nei mesi scorsi i positivi al mostro aumentavano, e hanno visto morire anziani, giovani, bambini, con una fame d’aria che loro non potevano soddisfare; non si sono abbattuti perché hanno fatto tutto quello che potevano per salvare i pazienti, con le cure, ma anche con la compagnia e, spesso, trovando il modo di farli comunicare con le proprie famiglie, anche se solo per un ultimo saluto.
Non si sono abbattuti, e continuano a non farlo adesso, perché in questi mesi sono nati migliaia di bambini, tutti sani, e grazie al loro immenso lavoro, che forse più che un lavoro è una missione, moltissimi malati sono guariti, rinati nella voglia di assaporare quell’aria che sa di disinfettante, ma sembra il profumo migliore del mondo.
Così, lavorando insieme, i pronto soccorso si sono svuotati e i ricercatori medici possono lavorare nella ricerca di una cura specifica e soprattutto di un vaccino.
Noi dobbiamo solo aspettare che arrivi il giorno in cui ci diranno che il vaccino c’è e che finalmente non si ammalerà più nessuno…

Perciò, allora, la mia parola speciale è: “TEMPO”.

Il tempo è la chiave di tutto; se non c’è tempo, noi non possiamo esistere.

Ma noi esistiamo per combattere contro tutte queste sfide, per distruggere i mostri con la corona, per crescere trovandoci insieme, restando e lavorando insieme; per creare il successo nel mondo: la gioia degli occhi di un bambino che vede la sua mamma, di un nonno che abbraccia il suo nipotino, la gioia di uno sposo che incontra la sua sposa, la gioia di un’amicizia che nasce e che ti consola in un momento di difficoltà, insomma noi esistiamo per vivere ed essere felici.

I miei pensieri sul Coronavirus racconti - Associazione ViviAdriano