Oggi leggiamo insieme un racconto ambientato nel Giardino Franca Rame scritto dalla nostra amica Fabiana.
Grazie, Fabiana e complimenti per la tua vivace fantasia!
Buona lettura a tutti !
“Il mio desiderio più grande è.… un tesoro, un tesoro anche modesto, ma sufficiente a permettermi una vita diversa!”
Sussurrava così, tra sé e sé, Thérèse mentre strofinava tra le mani il curioso accendino che aveva trovato per terra.
Si divertiva a immaginare che fosse la lampada magica di Aladino e che da lì, prima o poi, sarebbe apparso un grasso genio per esaudire i suoi desideri.
L'oggetto non era un comune accendino di plastica, sembrava piuttosto in argento, forse persino antico, sebbene non di gran valore.
Thérèse lo mise in tasca e si voltò a guardare le lucertole che pigramente prendevano il sole sui muretti del parco Franca Rame, in quella tranquilla mattinata di inizio giugno.
Un fagiano insolitamente piccolo razzolava in un angolo. Thérèse trovò che in qualche modo le somigliasse. Erano sole: la bestiola nell’aiuola e lei nella sua vita.
Aveva, infatti, dedicato la maggior parte del suo tempo a un lavoro che non l’aveva resa particolarmente simpatica ai colleghi, ma che, in compenso, aveva assorbito tutta la sua attenzione.
Non per questo, però, aveva trascurato la famiglia: era stata sempre pronta a soddisfare le necessità di tutti, da cucinare a riordinare la casa, a seguire i figli negli studi e portarli ai diversi impegni extrascolastici.
Ma ora era in pensione e vedova, i ragazzi si erano costruiti una loro vita all’estero e li sentiva di rado, per questo Thérèse si trovava a nuotare nella sua limacciosa solitudine mentre le giornate trascorrevano nella noia.
Forse, con una maggiore disponibilità di denaro, avrebbe potuto permettersi di andare a trovare i figli più spesso o addirittura avrebbe potuto trasferirsi anche lei... magari poteva tornare in Francia, il suo paese d’origine, e ritrovare le amiche d’infanzia. Oppure avrebbe semplicemente riempito le giornate con raffinati concerti, vacanze in luoghi interessanti, corsi stimolanti...
Il fagiano nel frattempo si era spostato dall’altro lato della strada dove, con sorpresa della donna, aveva raggiunta quella che a ben vedere doveva essere la sua famiglia.
Thérèse gli diede le spalle con un po’ d’invidia e si diresse verso il prato: il parco era quasi deserto, così ne approfittò per andarsi a sedere sulla panchina rossa, la sua preferita, che era completamente libera. Tirò fuori l’accendino dalla tasca e tornò a osservarlo: notò che non era particolarmente sporco e quindi ne dedusse che fosse un ricordo smarrito da poco.
Assorta nelle sue riflessioni, si accorse solo all’ultimo che, con i tanti posti liberi, si era seduto accanto a lei un ragazzo di origini africane, lo sguardo mesto, dissonante rispetto al sorriso a trentadue denti che le rivolse e che lei non ricambiò.
Cercando di giustificare a sé stessa il desiderio di allontanarsi, Thérèse decise di andare alla ricerca del legittimo proprietario dell’accendino, visto che il genio non accennava a palesarsi.
Cominciò così a guardarsi attorno con maggiore attenzione: il parco si era animato di uomini e donne che passeggiavano, correvano a piedi o in bicicletta, leggevano seduti sulle panchine o semplicemente osservavano i movimenti degli altri.
Tra tante persone attirò la sua attenzione una ragazza dai capelli di un improbabile color blu. Era di schiena, accovacciata accanto a una bicicletta sportiva, poco lontano da dove aveva trovato l’accendino. Non sembrava esattamente il tipo da usare un simile oggetto, ma Thérèse decise comunque di indagare e le si avvicinò sussurrando: “Mi scusi, questo è suo?”
“E che cavolo!” la sentì borbottare tra i singhiozzi. Era talmente in ansia all’idea di rivolgere la parola a una sconosciuta, da non accorgersi che la ragazza stava piangendo.
La giovane si alzò, guardandola con occhi così chiari da sembrare d’acqua: “Anche la catena doveva cadere! E ora come ci arrivo al metrò?”
Confusa, Thérèse, invece di rispondere, riformulò la domanda: “Questo è suo?”
“Ma ti pare? Neanche fumo... Tu sei capace di rimettere a posto la catena?” l’apostrofò la ragazza.
“Beh, sì...” e forse per togliersi dall’imbarazzo, la donna prontamente si accovacciò e cominciò a lavorare intorno alla bicicletta.
Senza che qualcuno glielo avesse chiesto, la giovane disse: “Quello stronzo mi ha mollata, così, mentre dormivo! Se n’è uscito alla chetichella e mi ha mandato un messaggio per chiedermi di liberare la casa e di lasciare la chiave nella cassetta!”.
Thérèse le passò un fazzoletto e cercò di consolarla: “Ma poi ci ripensa, forse...”
La ragazza si soffiò il naso: “No, ha detto che torna dalla sua ex, pezzo di., mi scusi!”
“Quando ci vuole, ci vuole!” solidarizzò Thérèse, poi si sorprese a chiedere “Stavate insieme da tanto?”
“Una settimana, quattro ore e... “guardò l’orologio “… e sette minuti! Mi sembrava una cosa seria!”
Thérèse si rialzò con sguardo perplesso... chissà se i suoi trentadue anni con il marito erano stati una cosa seria?
“Scusa, non mi sono neppure presentata, sono Alice.” disse la ragazza mentre sul suo volto spuntava un mezzo sorriso. Era giovanissima, poco più di vent’anni.
“Thérèse Villain, piacere, la bicicletta ora è a posto.”
“Dai, sei francese! Bello! Scusa per prima, ma stamattina va tutto storto. Ma quel coso, insomma quell’accendino... perché hai chiesto se è mio?”
“L’ho trovato per terra, ma ho pensato che magari per qualcuno è un ricordo...”
“Ma come sei carina, sei davvero gentile!” esclamò Alice interrompendola e aprendo le braccia quasi ad abbracciarla.
Thérèse la guardò stupita e si chiese da quanto tempo qualcuno non la considerava una persona gentile.
“No, davvero! Hai avuto un bel pensiero. Dai, se vuoi ti aiuto!” E senza attendere risposta Alice cominciò a guardarsi attorno. “Laggiù: forse è del vecchio! Andiamo?” E, dopo aver agganciato la bicicletta al palo, si lanciò verso il parco con Thérèse al seguito.
Su una panchina non lontana dal bar sedeva un uomo anziano, vestito in maniera distinta, che leggeva tenendo in bocca una sigaretta spenta.
Alice si avvicinò per chiedergli se l’accendino fosse suo.
“La ringrazio” disse con un sorriso l’uomo “ma da quando ho deciso di smettere di fumare, non porto più l’accendino con me... la prima sigaretta, qui al parco, è una tentazione troppo grande. Mi accontento di tenerla in bocca.” Thérèse lo guardò perplessa: le sembrava una tecnica originale per disfarsi di una dipendenza.
“Magnifico! Come portarsi dietro i libri e non studiare!” esclamò Alice, poi proseguì: “Questo però non risolve il nostro problema...” e raccontò, non proprio in maniera succinta, la storia dell’accendino.
Gaetano si mostrò da subito divertito da quell’incursione nella sua passeggiata mattutina. Mentre la ragazza lo travolgeva con una fiumara di parole, lui scambiò alcuni sguardi di reciproca comprensione con Thérèse.
Solo alla fine della lunga spiegazione arrivò il momento delle presentazioni: il vecchio era stato professore di musica al conservatorio, non si era mai sposato e i suoi amici erano o morti o malati. Poi i tre si ritrovarono senza parole, seduti uno accanto all’altra sulla panchina.
“E adesso?” Ovviamente era stata Alice a parlare.
“Beh... grazie per l’aiuto. Magari porto l’accendino agli oggetti smarriti...” sussurrò Thérèse.
“Non vorrà arrendersi così facilmente, mia bella signora?” le rispose Gaetano.
Thérèse la guardò stupita, nessuno le diceva che era bella da molto tempo.
“No, certo che no!” rispose al suo posto la ragazza, e alla donna sembrò che le avesse letto nel cuore, “Solo... come facciamo?”
“Come avete fatto con me: guardiamoci intorno!” ribatté l’uomo: “Per esempio, quella donna laggiù, accovacciata a terra, sembra stia cercando qualcosa.”
Gaetano si alzò con qualche difficoltà dalla panchina aiutato da Thérèse e dal suo bastone, mentre Alice scalpitava. Quando raggiunsero la donna, però, fu proprio lui a parlare.
“Buongiorno signora, non si prenda paura. Ci scusi se la importuniamo, ma abbiamo notato che stava cercando qualcosa per terra, è forse che ha smarrito quest’accendino?”
La donna, voltandosi per osservare chi le stesse parlano, arrossì e disse, in un italiano dal forte accento latino-americano: “No, io... cioè non cerco nada... è che la bestiola, sapete...”
Mentre gli altri due cercavano di raccapezzarsi in quel farfugliare, Alice scoppiò a ridere: “Stava raccogliendo la merda del cane! Oh, mi scusi, non volevo essere volgare... oddio, e noi che si pensava...”
La donna, seguita da tutto il gruppetto, si diresse verso il cestino, mentre Gaetano cercava di spiegarle l’equivoco e la storia di quell’accendino senza padrone.
Ora tutti, anche la nuova compagna, ridevano di gusto! Era piccola, dai tratti andini e il cagnolino al guinzaglio le rassomigliava soprattutto per la taglia e il ciuffetto di pelo che gli ricadeva sugli occhi.
Durante le presentazioni, Maria raccontò di fare la badante e che la domenica mattina aveva una mezza giornata libera che trascorreva al parco, se c’era bel tempo, e poi in chiesa. Il cane era dell’uomo, anziano e infermo, di cui si prendeva cura, ma lei si era affezionala alla bestiola, così uscivano sempre insieme.
Il sole cominciava a scaldare l’aria, il parco si stava riempiendo di ciclisti, famiglie, running...
L’incoerente quartetto, - chi seduto sulla panchina, chi in piedi – aveva cominciato a scambiarsi informazioni, dai semplici dati anagrafici a banali considerazioni sul clima, via via scivolando impercettibilmente verso particolari sempre più intimi della propria vita.
Tutto d’un tratto Alice, che si era accovacciata di fronte alla panchina, si alzò e annunciò: “Amici, direi che è arrivato il momento di fare colazione! Seguitemi!”
Thérèse sentì come un brivido: era troppo tempo che non si sentiva chiamare amica.
Sfuggendo agli sguardi dei compagni, l’indice alzato, disse: “Aspettatemi, solo un istante.”
E sgattaiolò fino alla “sua” panchina rossa: il ragazzo africano era ancora lì, lo sguardo a terra.
La donna gli sfiorò la spalla e gli mise tra le mani intrecciate l’accendino, sussurrandogli all'orecchio “Fai attenzione: è magico.”
Poi, quasi saltellando, tornò verso la compagnia con il sorriso negli occhi.