Ecco per tutti noi un racconto scritto dalla nostra cara amica Antonella Zanca: con la sua grande capacità di emozionarci tramite parole che toccano il cuore, ci fa ritornare al periodo natalizio che abbiamo vissuto da poco più di un mese
Grazie, Antonella, sei davvero un’ Amica ed è sempre un piacere immenso leggere le tue “creazioni”
Lui la conosce bene, riconosce i suoi respiri e sa sempre come sta, di cosa ha paura, di cosa gioisce.
Dicono sia amore. Da tanto tempo va avanti così, ci sono i battiti del cuore a provarlo. Non si fa troppe domande, gli basta ritrovarsi negli occhi di lei, gli basta continuare a riconoscere i suoi respiri che a volte diventano sospiri, altre fiati di trombe e altri ancora sfociano in urla di gioia o di paura o di vette raggiunte.
Una vita così, dove il caleidoscopio delle loro esigenze mescola colori e luci e ombre e pare che sempre, ogni giorno, salti fuori il disegno perfetto che poi scappa di nuovo e ti chiedi se l’hai visto davvero.
La maestria è legata all’attenzione: se stai all’erta, il momento magico lo riconosci e lo potrai rivivere, prendendo energia dalla certezza di esserci stato, al momento giusto, nel posto giusto, con la persona giusta.
Poi c’è l’imponderabile. Siamo vicino a Natale, la nostra coppia si concede una pausa, sì, si può scappare dai preparativi, dalle feste tra amici, dalle cene, dalla cucina sempre in disordine, da un mese di dicembre ricco di altri e mai di loro due.
Si regalano tre giorni al mare. Si regalano il cielo blu, l’acqua dai colori puri, la magia di poter restare al sole senza giacca, la certezza che là, in pianura, c’è la nebbia e tra loro no.
Silenzi condivisi, libri e giornali, focacce calde e camminate regalano la pausa necessaria per affrontare l’ultima settimana prima del 25 dicembre.
Arrivano notizie di terremoti proprio a casa loro, un terremoto che crea scompiglio ma non danno, che ricorda solo il destino di non esserci mai, ad ascoltare i tremori della terra.
“Ero al cinema Cavour, quando ci fu quello del Friuli, il cinema era in un sotterraneo e non sentimmo niente. Oggi siamo lontani. Ci teniamo i nostri terremoti interiori, in solitudine.” È lei che commenta, è lui che sorride.
Decidono di spostarsi, sì, dai, in autostrada, si fa prima.
L’autostrada è alta, in montagna, il sole non arriva, la strada è gelata.
Il Telepass suona, forte, come sempre, ma la sbarra non si alza. Una frenata e un movimento che non si capisce come faccia una macchina a muoversi così veloce, slitta, si ribalta, cosa succede, cosa succede, cosa succede?
(Andavamo adagio, adagio, un fischio, ho la testa verso una sbarra di ferro, vedo tutto bianco e rosso, sento un sibilo forte, continuo, è il Telepass che non smette di urlare, sono regolare, ho pagato, ho l’addebito in conto, perché non si è aperta, perché?)
In pochi secondi tanti pensieri e poi il momento preciso in cui non riconosce il respiro. Dov’è? Perché non sente nulla, non riconosce la paura o il dolore o qualsiasi sentimento che lei riesce sempre a trasmettergli solo con quel respiro? Cerca di allungare la mano e non ci riesce. Si arrabbia: nessuno fa un incidente col Telepass in una stazione dell’autostrada in mezzo ai monti dove non passa nessuno perché è la una di una domenica di festa e quelli normali sono tutti a tavola e solo quei due lì hanno deciso di andare a Spezia a quell’ora lì, così non ci sarebbe stato nessuno in giro.
Mi senti? Amore, mi senti?
I due volontari della Croce Rossa sono bardati con camici verdi e mascherine, il medico che è con loro pare un marziano, ha la scritta Dott. a pennarello sulla schiena, loro si conoscono da anni, ma solo in questi ultimi mesi hanno cominciato a darsi del tu, troppe cose viste e fatte insieme per mantenere la formale distanza del linguaggio.
Mario, uno dei due veterani dell’ambulanza, quasi sospira di sollievo, quando vede la macchina capovolta: stanco dei malati di Covid si ritrova nella routine degli incidenti e si sente a casa, lontano dai punti interrogativi.
Luigi lo guarda negli occhi come se gli leggesse nel pensiero. Si avvicinano e la situazione è grave. Il dottore riesce ad allungarsi verso i due, la donna ha perso conoscenza, l’uomo pare vigile.
Si sente una sirena, meno male, arrivano anche i Vigili del Fuoco.
Dopo mezz’ora tutto è risolto, a volte Mario si stupisce della maestria di tutti loro che insieme lavorano in silenzio e in armonia, coi tempi perfetti di una squadra rodata.
È arrivata anche una seconda ambulanza, corrono insieme verso Lavagna, Luigi tiene la mano della donna, ora ha il respiro regolare ma non apre gli occhi, eppure Luigi le parla, le racconta di sé, della sua bambina, e Mario sorride.
Arrivano in ospedale, le due barelle entrano al Pronto Soccorso insieme, l’uomo riesce ad alzare un poco il capo, lo sguardo corre e rimbalza, riconosce il braccio della donna, mugugna un verso di dolore e sofferenza, riesce a parlare e tutti sentono che quello è il momento giusto, che non dimenticheranno.
Mi senti? Amore, mi senti? Sono qui, siamo qui, insieme, ancora.