Mio nonno mi raccontava – 29 aprile 2023

Oggi il nostro Vicepresidente Maurizio ci regala un racconto davvero molto simpatico
Grazie, Maurizio! Sai sempre come divertire chi, come noi, ha la fortuna di leggere le tue parole.
Buona lettura a tutti !
Nella casa in montagna in provincia di Bergamo dove vivevano i miei nonni, io venivo ospitato da piccolo e mi piaceva stare in quella casa, riscaldata dal camino e dalle stufe, che raggiungerla bisognava fare una salita lungo un sentiero di montagna; mi piaceva perché la sera, dopo cena, l’abitudine non era quella di accendere la televisione ma di fermarsi a parlare davanti al camino. Non so se avvenisse così tutte le sere, in fondo la televisione in bianco e nero c’era, ma so che il nonno amava raccontare le storie della valle; certo, erano poca cosa in un posto dove sapere che la mucca di un vicino aveva fatto un vitello era la notizia del mese, ma il nonno ricordava tante storie, le sapeva e gli piaceva raccontarle.
Le sue storie per me erano assolutamente veri e venivano raccontate con le luci spente, sfruttando la luminosità della brace nel camino che serviva a rendere spettrali le situazioni. Gli effetti speciali dell’epoca avevano un loro proprio fascino. E così le storie delle streghe, dei demoni che gettavano le ossa, prese dai cimiteri, giù dalla canna del camino al grido di “ocio che ‘l bota’ ” e con un rumore un pezzo di legno cadeva sulle braci e mio nonno, il quale non aveva mai partecipato ad alcuna seduta spiritica, rilanciava “ha buttato un osso, bello grosso, speriamo sia stato preso da un morto che era stato cattivo”. E’ che dire della terribile storia della “fomla del ‘joc ” che nella notte imperversava sui sentieri della remota “Al O? Tela”? Tutte storie di spettri e di paura? Spesso lo erano, ma io non lasciavo mai passare la serata senza farmi raccontare la storia dei due conventi e del ciliegio conteso, dopo quella ero pronto per andare a dormire tranquillo e chi pensava più a Carosello? Se volete la posso raccontare anche a voi.
Nei tempi passati in una valle vicina al Lujo, oltre il crinale delle prealpi, vi era una zona con due monasteri, uno benedettino e uno francescano. Era una zona di montagna, lungo il versante nord, poco produttiva e solo per un’agricoltura di sostentamento. In quelle condizioni, anche un solo albero da frutta particolarmente produttivo era una ricchezza. Accadde che un ciliegio, nato nel terreno dell’abbazia benedettina per la conformazione del terreno era cresciuto tutto sbilanciato con i rami, ma soprattutto i frutti, che si potevano cogliere solo dal terreno del convento francescano e tutti gli anni vi erano discussioni tra i religiosi su chi avesse il diritto di cogliere i frutti. La contesa giunse fino al vescovo di Bergamo il quale decise di risolvere la questione con una disputa religiosa. I due abati ricorsero ai migliori oratori del proprio ordine e dalla Francia giunse un famoso benedettino, mentre il teologo francescano venne bloccato da un incidente durante il viaggio. La disputa doveva tenersi nella chiesa del paese che aveva due pulpiti contrapposti nella navata centrale alla presenza del vescovo e degli abitanti. In mancanza del teologo il vescovo propose all’abate francescano di rappresentare il proprio convento ma questi, conscio della conoscenza delle sacre scritture del teologo venuto da oltralpe, declinò e così fecero i vari frati. L’unico disponibile a confrontarsi fu il frate più umile che sapeva a malapena leggere.
Venne deciso l’argomento della disputa: “Gesù”.
A quel punto il francese propose il latino ma il fraticello di montagna rispose scuotendo la testa “al so mia mè! ”. Venne proposto lo spagnolo, poi il francese e infine il tedesco, sempre con la stessa risposta. Alla fine venne deciso di confrontarsi con i gesti e i duellanti presero posto. Per dovere di ospitalità l’inizio della contesa venne assegnato al teologo giunto da lontano che, con un gesto maestoso, alzò la mano destra mostrando il dito indice alzato. Immediata la risposta del francescano che alzò anch’egli la mano destra stendendo le dita indice e medio. Il teologo annuì e aggiunse al suo gesto anche il dito anulare. Il francescano strabuzzò gli occhi e con indici, anulare e medio riuniti e alzati scosse la mano destra facendola ruotare. Il teologo alzò entrambe le mani e scese dal pulpito accettando la superiore competenza del francescano.
Il vescovo chiese ma cosa vi siete detti e il teologo rispose: Ho iniziato dicendo che Gesù è una parte della Santissima Trinità, lui ha subito capito e risposto che si tratta della seconda figura, quando io ho replicato che si trattava della seconda di tre lui ha immediatamente concluso tre figure ma un’unica divinità.
A differenza del benedettino, il francescano era irritato e si rivolgeva al teologo francese come “brut vilan ”. Subito l’abate francescano chiese spiegazioni in quanto il teologo era sembrato a tutti estremamente gentile e il francescano rispose “apena l’è ‘ndac so sol pulpit al mà dic: TE CAE FO ‘N OCCH ”, io gli ho risposto “TE ‘N CAE FO DU ”, lui ha detto “ME TE ‘N CAE FO’ TRI ” e io gli ho risposto “’NDO ‘l VEDET OL TERS OCCH? ”.
Trad.: Brutto villano;
Trad.: Appena è salito sul pulpito mi ha detto: Ti cavo un occhio;
Trad.: E io te ne cavo due;
Trad.: Allora io te ne cavo tre;
Trad.: Ma dove lo vedi il terzo occhio?