Raccontare il Teatro

Raccontare del teatro, della mia esperienza, del mio lavoro è una terra sconfinata, come se mi chiedessero di parlare della vita o dell’amore, o della felicità.
Ho raccolto con piacere l’invito di parlare di me e del teatro nella mia vita, proprio adesso che il teatro non si fa e non si vede e mi manca così tanto che lo cerco nelle immagini che mi tornano in mente, nei costumi di scena che riordino con cura, nelle frasi dei personaggi che ho interpretato e che ogni tanto mi ritrovo a sussurrare.

Il teatro si fa insieme, attori e spettatori. Accade, sempre diverso, perché vivo.

Ricordo uno dei miei primi spettacoli, ero molto giovane, al debutto il pubblico aveva riso su un paio di battute che avevo detto ed io mi ero sentita lusingata, compiaciuta, sicura che la
sera successiva sarebbe successo di nuovo. E invece, no, la sera successiva non risero.

Poi un grande attore, un certo Maurizio che ora lavora con i giganti come Sorrentino e Garrone, mi disse che ogni sera si riparte da capo, che non ci sono certezze, che il pubblico è sempre diverso, e che basta una sfumatura e le reazioni cambiano. Mi chiese se avessi paura.

Certo che avevo paura, io ho sempre paura di andare in scena, anche se non sembra, anche se appaio disinvolta, sicura di me, della mia esperienza. Paura e desiderio non sono mai passate,
dal saggio alla scuola di teatro agli spettacoli, a quella volta, un anno fa in cui ho fatto un monologo al Piccolo Teatro.

Da sola in scena Al Piccolo.

Il giorno del debutto ero tranquilla, avevamo provato così tanto, mi sentivo pronta, degna, forte. Poi all’improvviso mi trovo da sola in palco con la voce del direttore di scena che dice di metterci in posizione, tecnici e attori in posizione.

Attori. C’ero solo io!

di Eva Martucci
(foto di Francesca Marino)

 

Paura… quella che piega le ginocchia. Il cuore in gola.
Ma poi si è aperto il sipario, ho sentito il respiro del pubblico, non ero sola.
Il cuore si è calmato.
E via.

Racconti di quartiere - 07 Novembre