Un pappagallo che attira l’attenzione

Oggi il nostro attivissimo Vice Presidente Maurizio ci regala un nuovo e avvincente racconto poliziesco
Grazie, Maurizio!
Buona lettura a tutti !
Nel 1990 la squadra dell’ispettore Galletta stava lavorando su un gruppo di calabresi originari di Platì che operavano nell’area di Milano. Tra i calabresi vi era anche un emiliano, Mario Inzetti, il quale fin dai tempi delle rapine e, successivamente, dei sequestri di persona a scopo di estorsione negli anni settanta, operava con un gruppo di platioti come creatore di doppiofondo nelle autovetture, la creazione dei doppioni(1 )da utilizzare come deposito di armi e, soprattutto, come driver bravissimo e senza paura nelle situazioni più complicate.
Le indagini si erano dirette sul gruppo dei platiesi che aveva lasciato i sequestri con le casse piene di denaro e si erano dirottati sul traffico di eroina ma il consumo in Italia stava cambiando ancora e il mercato stava cercando sempre più la cocaina al posto della brown sugar(2). Di conseguenza i trafficanti stavano cercando contatti con i narcos colombiani per importare la bianca dall’America latina.
La squadra di Galletta iniziò a lavorare sui calabresi dell’area pavese dopo il sequestro del diciottenne Cesare Casella nel 1988, liberato dopo una prigionia durata 743 giorni. Dai calabresi del pavese non emersero relazioni con i sequestratori ma furono trovati contatti di fornitura di stupefacenti con i paesani del milanese. Le indagini si indirizzarono sui soggetti operanti nel milanese. Un giorno Inzetti aveva un appuntamento con uno straniero quindi la squadra si dispose ai pedinamenti. Riuscirono così a vedere Inzetti che si incontrò con un uomo con una particolarità: aveva sulla spalla un pappagallo Ara.
L’uomo lasciò Inzetti e prese un treno verso la Svizzera portando con sé una borsa. A Domodossola venne fatta intervenire la Polizia di Frontiera e lo straniero venne identificato per un cittadino andorrano, Sfortuny Jordi, venne perquisito e trovato in possesso di oltre 300 milioni di lire che, dopo i controlli, risultarono provenire dai riscatti pagati per la liberazione di 6 sequestrati. Appena apprese la provenienza della somma che lo portava diritto verso una condanna a una trentina di anni di reclusione Sfortuny iniziò a collaborare e raccontò che quei soldi erano il pagamento di una partita di cocaina importata a Milano dalla Colombia.
Il seguito delle indagini consentirono di ricostruire i rapporti tra i platioti/-milanesi e i colombiani: furono costruiti proprio da Inzetti il quale stava finendo di scontare una pena a San Vittore e lì conobbe un colombiano detenuto per traffico di cocaina. Inzetti, tramite i platiesi, gli procurò un legale, un falso posto di lavoro e gli fece ottenere la semilibertà: il colombiano tutte le mattine usciva dal carcere e andava a lavorare, la sera tornava al du’(3). Una mattina il colombiano trovò ad attenderlo due ragazzi in macchina che lo portarono a Zurigo. I due avevano con sé un falso passaporto, un biglietto aereo per Bogotà e dei soldi. Così il colombiano potè tornare a casa.
Quando Inzetti finì di scontare la pena uscì e partì per Medellin via Zurigo (in treno) – Bogotà. Si incontrò con il suo compagno di cella il quale era in realtà un nipote di Pablo Escobar, il capo del cartello di Medellin e, all’epoca principale fornitore mondiale di cocaina tanto che si era offerto di pagare il debito estero della Colombia in cambio di una legge che vietasse la sua estradizione. Inzetti venne ospitato nella finca(4 )del capo del cartello. Tornato in Italia Inzetti parlò a lungo della sua permanenza a Medellin e con piacere misto ad ostentazione della sua permanenza in Colombia ma lo fece una volta di troppo, si trovava all’interno di una sala che credeva sicura ma dove la Squadra Mobile aveva sistemato una microspia e così gli investigatori appresero che Inzetti si era accordato con Escobar per acquisti si cocaina pura a prezzi di realizzo: 1500 dollari Usa nella selva colombiana, 8.000 dollari all’aeroporto di Bogotà, 15.000 $ presso qualsiasi porto dell’America Latina oppure 80.000 $ in Italia. Inzetti si vantava che la cocaina era purissima e l’associazione avrebbe potuto raddoppiarne il peso e venderla con un guadagno del 150%, inoltre Inzetti aveva appena ricevuto dal suo avvocato l’informazione che la Corte di Cassazione aveva confermato una condanna a 14 anni di reclusione quindi intendeva lasciare l’Italia e trasferirsi a Medellin dove avrebbe usato documenti falsi e avrebbe potuto agire per conto dell’associazione di trafficanti ed evitare il carcere diventando latitante. La decisione fu presa e i soci decisero di festeggiare l’evento con una cena in un ristorante di lusso seguito da una nottata in un night nel centro di Milano.
Gli investigatori della Squadra Mobile ne discussero con il Pubblico Ministero il quale sollevò dei dubbi sul fatto che Inzetti non sarebbe riuscito a vivere a Medellin ma l’Ispettore Galletta subito intervenne ricordando che stavano parlando di Inzetti, l’uomo che durante le indagini avevano fotografato al matrimonio del figlio con un mezzo tight bianco e sotto aveva i boxer rossi e ai piedi calzava degli stivali camperos in pelle di coccodrillo. Galletta concluse dicendo che, al massimo sarebbero stati i colombiani a considerare Inzetti troppo Maranza. Decisero di intervenire al termine della notte per recuperare la sentenza della Cassazione e così fecero arrestarono Inzetti per scontare la sentenza della Cassazione e, un paio di mesi dopo, vennero arrestati anche gli altri componenti dell’associazione per l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per traffico internazionale di stupefacenti. Inutile dirlo, dopo l’arresto tre membri del gruppo iniziarono a collaborare, confermando quanto era emerso nelle indagini.
(1) Si tratta di autovetture rubate per le quali vengono create delle targhe false, copie di altre targhe relative ad autovetture identiche ma che, in caso di controllo, non porterebbe collegamenti diretti con chi aveva la disponibilità delle armi
(2 )Eroina color caramello, la più diffusa e più “tagliata”
(3) Il du’ (due) era il nome con cui la mala milanese chiamava il carcere di San Vittore il cui cancello di uscita a seguito della scarcerazione, si trova in piazza degli Olivetani al civico 2
(4 )Proprietà, tenuta