Oggi pubblichiamo il racconto di Laura Liesbeth Pelucchi un racconto molto “milanese” o meglio … una storia vera !
La zia Rina era la sorella di mia nonna Anna Nava. Il loro padre, il mio bisnonno, era un eccellente ebanista e faceva mobili di alto pregio, nella sua falegnameria.
Zia Rina era la minore delle due sorelle, e mentre mia nonna si sposava e metteva su famiglia a Pavia, lei si trasferì giovanissima nella famosa sartoria Nava a Milano, della zia, che lavorava per gli artisti della Scala, per imparare il mestiere di sarta. Erano i primi anni del ‘900.
Mio zio Emilio Sozzi, nasceva in Brianza, poi si trasferì giovanissimo con famiglia a Milano, qui andò "a bottega" da un noto pasticcere e fornaio per imparare un mestiere, divenne amico di un altro giovane garzone che si chiamava: Angelo Motta. Zio Emilio e Angelo passarono molti anni in buona amicizia e insieme si arruolarono nella Prima guerra mondiale, andando al fronte, nelle trincee. Finito il conflitto, sani e salvi tornarono a Milano e decisero di diventare soci, così aprirono un forno pasticceria alla periferia di Milano.
In quegli anni zio Emilio e zia Rina si sposarono. Angelo Motta poco dopo.
La storia del panettone così la raccontava zio Emilio :
" Avevo aperto quel piccolo forno, ma volevamo distinguerci dagli altri forni creando anche dolci (pensate alla povertà di quegli anni. I dolci erano solo per i ricchi) ma il forno era in periferia e quindi bisognava veramente avere delle buone idee per far arrivare la gente fino a lì a comperare. Così cominciarono a studiare antiche ricette a modificarle e a riproporle in vesti diverse... Piano, piano il forno pasticceria divenne sempre più conosciuto. Decisero di proporre un dolce per il Natale, riprendendo l'antica ricetta del "pan de Toni" cambiando la lievitazione e aggiungendo all'impasto uvetta e canditi. I primi panettoni sfornati erano bassi soffici e buoni. Finché una notte mio zio era stanco, perché aveva lavorato giorno e notte e sbagliò la dose del lievito per l'impasto del panettone ... quando se ne accorse, non disse nulla ad Angelo Motta, perché avrebbero litigato furiosamente, visto che avevano due caratteri "peperini". Decise da solo di mettere l'impasto negli stampi, ma questo continuava anche dopo ore a lievitare, a lievitare. Tanto che uscì fuori dal contenitore ... Lui mise tutto in forno... "o la va o la spacca" si disse, ormai non poteva più rimediare!
Alle prime luci dell'alba i panettoni furono sfornati, e avevano la classica forma a fungo. Angelo Motta quando li vide si senti male! Tutto quel lavoro fatto per niente !!!
Ma poi ne tagliarono uno, e videro che all'interno l'impasto era pieno di bolle d'aria ed il dolce era diventato leggerissimo e di una sofficità' mai sentita prima in un dolce! Ecco il primo panettone di Milano!
Nato in un piccolo forno, per un errore, divenne poi un simbolo dolciario conosciuto in tutto il mondo!